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VITA E OPERE DI OGU FOSCADDU
Ogu Foscaddu nacque a Santu Lussurgiu (Oristano) il 13 Gennaio 1945, da Piddu, pastore di antica famiglia nuorese, e da Aghja Lavah Lashel, marocchina emigrata in Italia durante in ventennio fascista.
Primo di quattordici figli (dodici fratelli e due sorelle) il Foscaddu passò la sua fanciullezza nell'isola natia, a pascolar, assieme al padre ed al fratello Riddu, il gregge di famiglia. Dopo aver compiuto i primi studi alle scuole elementari si trasferì con la madre ed i fratelli a Messina. Correva l'anno 1967. Questa prima emigrazione fu conseguente alla rovina economica della famiglia che sopravvenne poco dopo la morte in giovane età di Santina, pecora prediletta di Piddu, che, profondamente addolorato, perse ogni interesse per la vita e la famiglia lasciandosi morire incurante degli stessi appelli dei suoi figli e della di lui moglie.
Nella città dello stretto Ogu seguì i corsi serali organizzati dalla Parrocchia si Sant'Agata, quindi ormai ventitreenne, iniziò il suo geniale apprendistato presso la Premiata Fabbrica di Cannoli Siciliani. Quì in pochi mesi divette un vate della farcitura, glassatura e di tutto ciò che concerne l'ambito dell'arte pasticcera. Il primo vero passo verso la lettertura fu proprio dovuto a questa sua occupazione: un assiduo frequentatore del laboratorio, un certo Giuseppe Paruddi meglio noto come "Peppuzzo", estasiato dalle sue opere dolciarie spinse il Foscaddu a rivelarne i segreti in una pubblicazione. Nel 1968 fu così che venne stampato, a spese dello stesso Paruddi, il volumetto intitolato "I Cannoli Siciliani". Furono mesi di particolare fermento per il nostro Ogu; rapidamente bruciata ed assimilata una grande esperienza sulla cucina siciliana contemporanea (a Settembre impara anche a fare i famosi Arancini), egli decise di arricchire il suo bagaglio di nozioni gastronomiche emigrando in Continente: era il 6 Gennaio 1969. Alcuni critici, fra questi il Von Wiserwald, ritengono che questa sua decisione fu determinata dallo scoramento per non aver vinto alla Lotteria. " Fu un passo importantissimo e per certi versi anche traumatico per Ogu, ormai attaccato alle tradizioni isolane, di Sicilia e naturalmente della natia Sardegna, come una cozza è attaccata al suo scoglio" (da "La letteratura mitteleuropea ed i suoi rapporti con la cultura mediterranea" dello stesso Von Wiserwald).
La prima tappa fu Napoli, ove in pochi giorni Ogu trovò lavoro come pizzaiolo. Era solo l'inizio di una folgorante carriera. Ben presto se lo contesero almeno tredici tra le più rinomate pizzerie partenopee. Fu in questo periodo che si accese nel Foscaddu il sentimento che lo spingerà a svelarci la sua sensibilità politica: egli, forse anche stressato dallo sfruttamento dei suoi datori di lavoro, che, lo costringevano spesso a lavorare in più locali nella stessa giornata, si mostrò stanco del sistema e soprattutto manifesto quello che
Tra le sue opere più famose troviamo "Le ultime lamentele di Ciro Porcis", "I bidoni", "I pizzoccheri della Valtellina", "I cannoli siciliani" e "Le disgrazie". (continua)
LE ULTIME LAMENTELE DI CIRO PORCIS
Eccovi un breve saggio di quest'opera del Foscaddu. Al momento pubblichiamo le prime due "lamentele" del Porcis; esse costituiscono sicuramente uno dei momenti più alti della lirica foscaddiana.
3 Novembre 1979
Minchia¹, o Vito: oggi sono stato licenziato, Qual Dolore! Ti aggio schitto² perché disperato sugnu³. Ah! Anzi, Minchia! Adesso disoccupato sugnu e Teresa con onore non potrò sposare. Qual Dolore, o Vito, Minchia! Ti saluto, tu sempre onorato sei. Bacio le mani ed i piedi (lavateli). Tuo Ciro.
Questa epistola è considerata dai critici una delle più interessanti. Infatti il licenziamento del Porcis sarà l'impetus che lo farà emigrare dalla Sicilia per trovare maggior fortuna nel Continente. Lo stile adoperato risente molto dell'influenza dell'idioma siciliano.
Note:
1. Minchia: questa parola ripetuta più volte nell'epistola, risente dell'influenza popolare. Esprime con maggiore intensità la disperazione del Porcis che essendo stato licenziato teme per il suo futuro.
2. Schitto: il Porcis si arrangia come può, pare che nel 1979 avesse solo la terza elementare. Comunque schitto = scritto.
3. Sugnu: idioma tipico della terra natale del Porcis, in italiano si può tradurre con: "sono".
20 Maggio 1982
Carissimo Vito, ora mi sono istruito e mi ho imparato che prima io era un ignorante. Sai qui a Roma ci sono le serali dove si possono imparare molte cose. Ormai sono 3 mesi che ci vado. Come sta Teresa mia? Comeggiàsai io a Roma lavoro e presto con onore potrò tornare. Stammi bene , ti saluto, il tuo Ciro da Roma.
Questa missiva è considerata l'epistola dell'erudizione del Porcis. Scompaiono alcune imperfezioni letterarie tipicamente dialettali mentre restano alcune ingenuità (mi ho imparato, commeggiàsai,...) che vengono atribuite più che altro alla frettolosità del Porcis, ansioso di comunicare all'amico Vito le sue nuove esperienze continentali.
I CANNOLI SICILIANI
Quest'opera consiste in una racolta di ricette tipicamente siciliane ove il Foscaddu rivela i segreti della sua arte pasticcera. Anche se non si tratta di un opera strettamente letteraria abbiamo creduto opportuno pubblicare almeno una delle ricette in esso contenute. Si tratta proprio dei "Cannoli Siciliani" dove Ogu spiega con notevole precisione come realizzare questi famosi dolci, veri e propri vessilli della cucina dell'isola.
I Cannoli Siciliani si compongono di due parti:
La scorza ed il ripieno.
Per preparare una dozzina di scorze bisogna innanzitutto prendere 150 grammi di farina, 20 grammi di burro, un uovo, 30 grammi di zucchero ed un cucchiaio di Marsala. Dopo aver impastato il tutto, occorre lasciare riposare per almeno un'ora e quindi spianare l'impasto molto sottilmente facendo dei quadrati di 15 centimetri circa di lato. Il passo successivo consiste nell'avvolgere questi quadrati diagonalmente e uno per volta, in appositi tubi di latta o in canna avendo cura di bagnare le estremità pressandole per farle aderire.
Con tutto il tubo occorre poi friggere in abbondante olio o strutto. Non appena le scorze saranno dorate,occorre toglierle con delicatezza dal tubo lasciandole raffreddare.
Il ripieno consiste in una crema che si prepara con i seguenti ingredienti: un bicchiere di latte, un cucchiaino di amido, mezzo chilo di ricotta fresca e 250 grammi di zucchero finissimo, passato in un setaccio. Occorre far coagulare a fuoco basso un cucchiaino di amido nel latte, mescolando poi il tutto con la ricotta e lo zucchero. Ottenuta la crema si aggiungono dei pezzettini di ciocolato fondente, pistacchi sbriciolati e scorzette di arancio candito.
Le scorze vanno riempite facendo pareggiare i due lati con un coltello e si decorano ulteriormente con canditi nella crema bene in vista e una spolverata di zucchero a velo sulle scorze stesse.